(Ovvero: ‘un c’è trippa per gatti)
Non ho visto il film “tutta la vita davanti” della cui protagonista, debitamente ignudata ho comunque le giuste immagini su un max finito casualmente (nel senso che non l’ho comprato io) per casa.
Il tema però della completa assenza di un “futuro lavorativo” degno di questo nome è sicuramente ben presente nella mia vita ed in quella di M. che mi dà l’occasione di questo post con quanto mi ha detto del suo incontro di ieri con gotha della sua onorata azienda.
Se qualcuno che non mi conosce è per caso finito qui e, sempre per caso non ha ancora deciso di interrompere la lettura voglio precisare che non parlerò del precariato, della legge Biagi, di Beppe Grillo e della storia fritta e rifritta del “non c’è lavoro”.
Posso capire il discorso, ma non fa parte del mio vissuto. Ho sempre trovato lavoro con relativa facilità, anche perché quasi sempre di lavori di merda si trattava. Per lavoro di merda intendo qualcosa relativo al cosiddetto sottoproletariato impiegatizio. Niente miniere o autostrade o pomodori da raccogliere ma piuttosto manovalanza intellettuale fatta di scartoffie, somme in excel, accrocchi fatti da altri da dover presentare con-la-faccia-come-il-culo al cliente o cittadino etc… etc…
Dopo N anni di una roba del genere arriva lo scoglionamento e subito dopo l’incontro col capo in cui in sostanza dici che hai lavorato bene (e questo non lo dici solo tu, lo dicono i fatti e, molto spesso, anche i colleghi o i clienti) ma che hai le palle piene di questi lavori che al più puoi definire con esagerata magnanimità da celebroleso.
In cui vorresti non dico vederti buttati davanti al naso dei congrui aumenti, ma solo sapere se il tuo destino è continuare a sorbirti dette robe per i secoli dei secoli amen, oppure se l’azienda ha qualche piano per te, oppure ancora se è il caso che ti levi dai coglioni prima possibile perché quel ramo è in (più o meno occulta) dismissione.
Credo che siano domande più che lecite, specie dopo qualche anno che sei in un posto non solo per il fatto che ti hanno cresciuto con l’idea che “ti devi laureare in ingegneria o in economia e poi il resto verrà da sé” – e quindi che qualche minima aspettativa ce l’hai, inutile nascondersi dietro un dito. Noh, arrivo pure a capire che dei tuoi “sogni” (oddio!?) all’azienda possa anche non fregare un cazzo e forse debba.
Parlo di una semplice onestà di fondo. In questi N anni hai fatto straordinari non pagati, ci hai messo la faccia, hai preso degli schiaffi e tutto il resto. Credo sia il minimo sapere se, il continuare a farlo ti porterà a qualcosa oppure no. E ancora, visto che a 40 anni – professionalmente parlando – sarai morto e sepolto avere gli elementi per prendere le tue decisioni, cambiare lavoro, ambito o tipologia professionale … vita ….
Guardate che concetti tipo la pianificazione delle carriere, la valutazione dei fabbisogni formativi, la contrattazione degli obiettivi, la gestione degli “alti potenziali” sono ormai assodati nella gestione del personale di pressoché tutte le aziende che non siano delle botteghe artigianali o poco più.
In questi incontri ben difficilmente viene fuori qualcosa di concreto. Non saprai mai se sei visto come un alto potenziale o no. Ti viene detto che l’azienda crescerà, che ci saranno occasioni, nuove responsabilità, nuovi compiti e tutto il resto. Nessuna informazione significativa sul “tu” quanto piuttosto una nuvola di fumosi concetti sul “noi”, sapientemente esposti; così sapientemente che appena uscito pensi “cavolo che bello …quando si comincia” ma già un’ora dopo cominci a capire che ti hanno dato un’enorme inculata per di più coi sorrisi (suo e quel che è più grave, tuo) sulle labbra.
Questa scena si è ripetuta svariate volte con puntualità cosmica nella vita lavorativa mia e della mia ragazza, nonchè di amici e conoscenti. Ora di sicuro è importante sapersi vendere, essere aggressivi e tutto il resto … cosa che né io né M. siamo. Però l’idea che mi sono fatto è che nel lavoro dipendente gli spazi sono estremamente ridotti. Non ci sono vere occasioni di dimostrare quanto vali e crescere a meno che non tu sia nella cerchia della proprietà (nel privato) o nella sfera politica o sindacale (nel pubblico).
Così l’alternativa uno è quella di buttarsi in una libera professione che ti dà qualcosa in più in termini di mancanza di frustrazioni ma che ti costringe a strisciare per farti pagare e per dare il culo ai clienti senza considerare gli agganci necessari per partire e l’essere una canna al vento delle variazioni del mercato.
L’alternativa due è invece quella in cui quel culo viene poggiato su una scrivania, cercata dopo ridicoli rituali quali il colloquio o il concorso pubblico. Sapendo che fra 40 anni sarà uguale o peggio e che ogni giorno che passa la tua professionalità diminuisce con le tue possibilità di poter pensare concretamente ad un futuro diverso.
Niente vie di mezzo. O rischi tutto o solo briciole. O hai “luoghi dove poterti fare sentire al di fuori di quelli istituzionali” (sono parole che cito, non posso dire di chi ma di sicuro di una figura di un certo spessore che mi ha detto privatamente) o nulla.
Il lavoro, di sicuro, non è tutto. E ha ragione anche Max Pezzali quando dice che bisogna comunque sforzarsi di pensare positivo perché tanto a pensare negativo non ottieni nulla. Lo so e ci provo. Ma credo che sia tutto molto difficile quando oggettivamente vedi che non c’è trippa per gatti.
giovedì 22 maggio 2008
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2 commenti:
E allora fai come i gatti quando non c'è trippa...SEGUI L'ISTINTO.
(Prima che ti cancellino pure quello...)
R.
Hai proprio centrato il punto.
Ri-educarsi a seguire l'istinto.
Maledettamente difficile, però...
Ermanno.
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